Scuola Nazionale di Scialpinismo e Snowboard Alpinismo

Cjolmi me: l’essenza della SUCAI

Ricordo di tre sucaini: Beppe Auxilia, Enrico Cinato, Renzo Stradella

di Carlo Crovella

Per uno dei tanti scherzi del destino, nel corso del mese di luglio 2025 ci hanno salutato, in rapida sequenza, tre “grandi vecchi” della Scuola di scialpinismo SUCAI Torino: Beppe Auxilia, Enrico Cinato e Renzo Stradella.

La loro dipartita arriva dopo altre, anche recenti, come nel caso di Ernesto Picco Brunati, oppure di qualche tempo addietro, come per Mario Schipani (Skip), Flavio Melindo e Pierlorenzo Alvigini (Il Vigio). Tornare ancora più indietro nel tempo per ricordare tutti i personaggi di rilievo purtroppo ci distrarrebbe e quindi non possiamo stilare l’elenco completo.

Sono tutte persone importanti per la storia della SUCAI e di cui è bene non perder memoria, soprattutto da parte delle generazioni più giovani, che magari devono ancora imparare a conoscere i vari meandri sucaini. Per questo è bene raccontare alcuni aneddoti che non sempre sono sulla punta delle dita di tutti e che invece segnalano l’importanza dei personaggi che ci hanno preceduto. In questo scritto ci concentriamo però sui più recenti addii, quelli appunto del luglio 2025.

Sucaini all’interno della Capanna Mautino, primi Anni Sessanta. Sono riconoscibili: Carla Verna Melindo (la prima a sinistra), Ernesto Picco Brunati (al centro, con il distintivo sul petto), Roberta Verna Brunati (con gli occhiali), Pierlorenzo Alvigini, per tutti Il Vigio (ultimo a destra). Foto Arch. Flavio Melindo

È già stato ricordato in altre occasioni che la storia della Scuola SUCAI Torino è partita, su iniziativa di Andrea Filippi, con il “Corso Sci-Alpinistico Invernale” del 1951-52. Sette istruttori componevano l’organico del primo corso: Andrea Filippi (Direttore), suo fratello Paolo Filippi, Franco Balzola, Italo Cattaneo, Angelo Maggia, Edo Rabajoli, Arrigo Venchi. In breve tempo si sono aggiunti altri nomi cardini della storia sucaina, come Pierlorenzo Alvigini, Renzo Stradella, Franco Tizzani, Beppe Auxilia e, via via, altri ancora. Nessuno immaginava, allora, che da quel nucleo, relativamente ristretto, di persone potesse svilupparsi una pianta così salda da compiere 75 anni a fine 2025, annoverando tanti nomi da rendere impossibile la citazione completa.

Il primo importante snodo storico della SUCAI scialpinistica matura nella stagione 1958-59: il Corso di scialpinismo si consolida in una vera Scuola, rendendosi indipendente dalla Sottosezione SUCAI (anche se, giustamente, ne conserva il nome) e dotandosi di un sistematico organico istruttori, che sarà il suo architrave principale, pur con il fisiologico turn over degli individui.

Il passo successivo matura poco dopo: nel decennio dei Sessanta la gestione della Scuola viene affidata a un gruppo di sette sucaini, abbondantemente esperti, anche se al tempo 35-40enni e quindi non certo dei vegliardi. Con la tradizionale ironia torinese, un mix di rispetto ma anche di implicito “sfottò”, sono stati chiamati i Savi Anziani: Pierlorenzo Alvigini (Il Vigio), Beppe Auxilia, Mario Bertotto (Quintino), Franco Manzoli (chiamato da tutti Rocco), Maurizio Quagliolo (Il Faraone), Renzo Stradella, Franco Tizzani (Il Monarca). Ogni soprannome ha la sua origine, ma raccontarle tutte ci porterebbe fuori via.

L’unicità storica dei Savi Anziani è tale che mai più nessuno potrà esser chiamato con questo appellativo nell’ambito della Scuola SUCAI. I Savi Anziani, che di fatto compongono un squadra di direzione (innescando questa tradizione nella SUCAI), gestiscono la Scuola fino al successivo turn over generazionale che matura con i primi anni Settanta. Alla ribalta arriveranno nomi nuovi, a loro volta destinati a lasciare il segno: fra gli altri Mario Schipani, Flavio Melindo, Picco Brunati, Andrea Cavallero. Altri turn over generazionali seguiranno in epoche ancora successive, ma anche queste vicende ci distrarrebbero e quindi non le possiamo seguire. In questa sede è opportuno concentrarci sui personaggi che ci hanno salutato nel luglio 2025.

Beppe Auxilia (socio CAI dal 1946) è uno dei Savi Anziani, ma, oltre al consistente contributo tecnico, didattico e organizzativo, la sua importanza è anche incentrata su un altro risvolto. La famiglia Auxilia ha sempre coltivato una notevole passione canora. Beppe porta con sé tale passione anche nelle uscite di scialpinismo e molti dei canti, che entreranno a far parte della tradizione sucaina, sono stati un dono di Beppe e della sua famiglia alla SUCAI. Canti in francese, in dialetto piemontese, nei vari patois dell’arco alpino occidentale (fino a quello della Vallée, ovviamente), perfino canti in lingua italiana, con un’importante eccezione: Cjolmi me, un breve canto friulano, armonioso e facile da imparare, destinato a fare la storia della SUCAI, perché ne diventerà il “canto di vetta”. Come Cjolmi mè sia entrato nelle consuetudini della SUCAI lo lasciamo raccontare, sul finale di questo scritto, direttamente a Renzo Stradella. Qui è bene sottolineare un concetto fondamentale. Il canto di vetta ha un’importanza rilevante: sancisce quel particolare momento, dalla valenza quasi liturgica (anche se il concetto va interpretato in senso laico), in cui tutti, raggruppati in vetta (magari sferzati dalla bisa più tremenda), celebrano il raggiungimento dell’obiettivo, ma soprattutto riaffermano il senso di appartenenza alla grande famiglia sucaina.

Si canta Cjolmi me in vetta alla Dormillouze. Da sinistra: Piero Perotto, Mario Bertotto, Beppe Auxilia, Maurizio Quagliolo. Foto estratta dal “Gazzettino dei Cunioli”. Probabile provenienza: Arch. Renzo Stradella o Arch. Enrico Cinato

Enrico Cinato (socio CAI dal 1950) è compreso nella generazione degli istruttori attivi fra anni Cinquanta e Sessanta. Noi boomer, cioè nati nei Sessanta, consideriamo Enrico come un distintivato dall’irriducibile presenza alle uscite della Scuola (fino agli Anni Novanta circa), ma lo abbiamo anche conosciuto come il padre di ben quattro giovani Cinato (Paola, Elisa, Lucia e Guido), che hanno frequentato la SUCAI dal decennio Ottanta in poi (alcuni perdurano ancora).

In realtà Enrico ha una “sua” importanza come istruttore degli anni in cui ha ricoperto tale ruolo: è un tassello storico che io stesso ho faticato a scoprire, perché, con la sua apparente riservatezza (tratto molto torinese…), non ha mai amato esporsi da protagonista sul palcoscenico dei ricordi collettivi.

Un risvolto personale di Enrico, da non sottovalutare in chiave sucaina (come vedremo fra poco), è l’invenzione del “Gazzettino dei Cunioli”, bollettino familiare così chiamato dalla località (Cunioli Alti) della collina torinese dove si trova “Casa Cinato”. La nascita e la divulgazione di questa “testata” viene raccontata dalla stesso Enrico sul n. 400 del Gazzettino (febbraio 2021). Ispirandosi alle lettere che un sacerdote, partito missionario per il Brasile, scriveva in modalità standardizzata per informare in parallelo tutti i componenti dei gruppi di volontariato (tra cui, appunto, i Cinato) conosciuti in precedenza, nel gennaio del 1996 Enrico decide di redigere, con analoga impostazione, un bollettino per informare sulle vicende familiari i figli, che in quella fase risiedono tutti all’estero, in località diverse. Mamma Rosanna aggiunge a mano, su ciascuna copia, alcuni pensieri “personalizzati”.

Nasce così il “Gazzettino dei Cunioli”, inizialmente scritto al pc e poi stampato, fotocopiato e spedito via posta ordinaria ai figli. La testata ha immediato successo perché suscita curiosità anche presso gli amici, si arricchisce di notizie di cronaca (cioè al di là delle vicende familiari) e ben presto (strutturalmente dal 1998) viene consegnato ai vari interessati, per lo più sucaini, in occasione di ritrovi, gite, concerti. Ad altri destinatari viene spedito con sistematicità: Mao Quagliolo (uno dei Savi Anziani), pur di non perdere neppure una copia, ha sempre inviato i francobolli in anticipo.

Nel gennaio 1999 il Gazzettino acquisisce ufficialmente il sottotitolo di “luogo di incontro di un gruppo di amici”, aprendosi ai contributi fattivi di tutti gli interessati. Ecco perché sul Gazzettino iniziano a fioccare i ricordi della e sulla SUCAI, il tutto agevolato dal fatto che l’impostazione originaria si evolve e passa alla distribuzione, via posta elettronica, di un documento pdf.

Scartabellando fra le copie del Gazzettino, mi sono imbattuto in un aneddoto sucaino che vede Enrico Cinato come protagonista. Racconta lo stesso Enrico: “Correva l’anno 1965 ed il corso di sci alpinismo della SUCAI procedeva già a gonfie vele, ma……il livello tecnico in discesa degli allievi e financo di parecchi istruttori lasciava alquanto a desiderare.” Insomma, in discesa si badava prioritariamente a portare a casa le gambe, non certo a fare arabeschi: era l’andazzo dominante nell’intero scialpinismo di quella fase.

La lingua batte dove il dente duole: già in precedenza, Gigi Panei (Guida alpina, in alcune occasioni anche compagno di Bonattii) aveva osservato: “É un peccato che il gruppo SUCAI, così attivo nello scialpinismo, non sappia sciare adeguatamente”.

Canti di vetta durante un’uscita del Corso di scialpinismo SUCAI: Monte Nebin, gennaio 1953. Foto Arch. Renzo Stradella

A metà degli anni Sessanta, Enrico Cinato (che professionalmente si occupa di impianti di risalita) collabora sistematicamente con la Cervino S.P.A: durante i sopralluoghi sul terreno, si accorge che gli operai in media sciano meglio degli istruttori SUCAI, di cui fa parte lo stesso Enrico. Il quale giunge alla conclusione che, per la Scuola SUCAI, sia necessario un salto di qualità in termini di tecnica di discesa.

Durante la cena finale del Corso 1965, Enrico si confronta con Renzo Stradella (in quel momento anche Vice Presidente della Commissione Centrale per lo scialpinismo del CAI). Detto fatto: rapidamente viene varato l’aggiornamento di discesa per gli Istruttori SUCAI con la presenza di Maestri di sci. L’organizzazione logistica è affidata allo stesso Enrico, che provvede a tutto, già per l’autunno 1965, nel comprensorio di Cervinia: pernottamento a Plan Maison nel dormitorio degli uomini battipista e, per i pasti, ci si appoggia al self service dell’albergo Stambecco.

Alla parte didattica provvede invece Renzo Stradella: grazie alla sua carica istituzionale, riesce a coinvolgere addirittura Toni Gobbi, Guida e Maestro di sci, coadiuvato da Giorgio Colli, con titoli analoghi. Però Gobbi non riuscirà a partecipare all’aggiornamento per motivi personali e, di fatto, sarà solo Colli il referente dell’evento.

Gli Istruttori SUCAI si ritrovano a Plan Maison il giorno dei Santi del 1965. Alla sera, nel salone dell’Hotel Stambecco, fanno conoscenza con Giorgio Colli. I sucaini mostrano subito i denti e il dibattito con l’esperto si infiamma rapidamente, in particolare su una delle diatribe cardini dell’epoca: in salita va effettuato il dietro front a monte oppure quello a valle? Gli scambi di idee sono piuttosto taglienti e qualcuno commenta: “Cominciamo bene”.

Il giorno dopo è tutta un’altra musica. Saliti con la prima funivia (riservata alla SUCAI) fino a Plateau Rosà, gli esimi Istruttori di scialpinismo sono costretti a un duro lavoro di campetto (perché occorre ripartire dalle basi!): un notevole bagno di umiltà per chi, teoricamente, è abituato a insegnare la tecnica di discesa agli allievi dei corsi di scialpinismo. Un bagno di umiltà che però produrrà i suoi frutti, sia per i presenti all’evento che per le generazioni successive.

Infatti, da allora in poi, la tecnica di discesa non sarà mai più snobbata in casa SUCAI. Se oggi si cura anche questo risvolto nelle uscite scialpinistiche, è bene ricordare che uno degli spunti iniziali è arrivato da Enrico Cinato.

Si tratta però di una svolta che non riguarda solo la nostra Scuola: in quella fase l’intero mondo scialpinistico si rende conto che occorre saper scendere bene, oltre che in sicurezza. Infatti non è un caso che, poco dopo l’episodio in quesitone, cioè nel 1966, la Sottosezione SUCAI, in collaborazione con lo Ski Club Torino, inizierà ad organizzare l’apprezzatissimo Corso di Sci Fuoripista a Bardonecchia, coinvolgendo i Maestri di tale comprensorio. Il Corso, composto da 6-8 uscite comprese fra gennaio e marzo, rimarrà aperto a tutti (cioè anche ai non sucaini) e la risposta sarà sempre di gran successo. Questo Corso andrà avanti per lungo tempo (pur sotto diverse sembianze, l’iniziativa è ancora attiva) e la sua direzione, nella seconda metà degli Anni Ottanta, registrerà anche il nome di Paola Cinato, in collaborazione con Roberta Seren Rosso. Paola ha quindi seguito le orme del padre Enrico.

Renzo Stradella (socio CAI dal 1941) è certamente il nostro decano: non solo perché anagraficamente è giunto sul limitare dei 99 anni, ma perché, di questi anni, moltissimi sono stati condivisi con la SUCAI. Fin da ragazzino, neppure diciottenne, Renzo partecipa alle attività del gruppo che, successivamente, rifonderà la SUCAI Torino. Alla ripresa post bellica, già nel maggio 1945, i giovani torinesi (m/f) hanno desiderio di uscire dalla tragedia di cinque lunghi anni di guerra e ricompongono rapidamente il gruppo precedente, chiamandosi UNICAI: ottengono anche una stanza nelle Sede di via Barbaroux. Poco dopo il CAI Centrale decide di ricostruire la SUCAI, anzi le SUCAI, cioè le Sottosezioni Universitarie presenti (teoricamente) in ogni Sezione del CAI. Quella torinese è bell’è pronta, archivia rapidamente la definizione UNICAI riprendendo il nome SUCAI, e diviene inevitabilmente il principale motore dell’intero mondo della SUCAI nazionale.

Il risvolto non è irrilevante per noi sucaini torinesi. Infatti in quel frangente Giusto Gervasutti, anagraficamente più anziano di circa 15 anni rispetto al gruppo dei giovani, si affeziona a questa banda di ragazzi entusiasti e con tanta voglia di fare. Gervasutti partecipa alle riunioni dei sucaini, dispensa consigli organizzativi e assume la carica di Direttore Responsabile del periodico “SUCAI”, diffuso a livella nazionale, ma la cui redazione è composta proprio dai torinesi (inoltre il periodico è stampato nella tipografia dello stesso Gervasutti).

L’affiatamento fra Gervasutti e i giovani sucaini torinesi è tale che Giusto, il quale dal 1939 è Direttore della Scuola Nazionale di alpinismo del CAI Torino intitolata a Gabriele Boccalatte, fa convergere detta Scuola nell’area organizzativa della SUCAI, come viene confermato dal distintivo dell’epoca, che reca chiaramente la dicitura SUCAI Torino.

Distintivo della Scuola Nazionale di alpinismo G. Boccalatte con la citazione SUCAI Torino, seconda metà Anni Quaranta. Foto Arch. Renzo Stradella

Gli istruttori di rilievo della Scuola Boccalatte continuano a essere i noti Accademici torinesi degli Anni Trenta, ma ad essi si affiancano, come aiuto-istruttori, alcuni giovani sucaini: fra questi Renzo Stradella e Pierlorenzo Alvigini. Ecco come si è creato il collegamento fra la propensione didattica dei sucaini e la personalità di Giusto Gervasutti, il quale non ha mai inteso l’attività didattica come finalizzata a perfezionare alpinisti di vertice, bensì a insegnare agli alpinisti medi come approcciare la montagna in modo prudente e consapevole. Questo assioma di fondo ha caratterizzato la didattica della SUCAI Torino in tutti i decenni.

La storia successiva è nota. Nel 1950 la Scuola Boccalatte viene di fatto ibernata, anche perché nel CAI Torino entra una nuova scuola di alpinismo, intitolata a Giusto Gervasutti (il che confonde un po’ le acque per i lettori contemporanei): si tratta di una scuola nuova, con standard tecnici e alpinistici decisamente più elevati. Dopo una fase di disorientamento per l’assenza del precedente alveo in cui svolgere la missione didattica, i sucaini torinesi, su iniziativa di Andrea Filippi, “inventano” il corso di scialpinismo, dove travasano la visione che hanno appreso da Giusto Gervasutti e che caratterizzerà tutti i decenni della nostra Scuola di scialpinismo.

Di quel passaggio storico fondamentale (conclusione della Scuola Boccalatte e successiva nascita del Corso di scialpinismo SUCAI), Renzo Stradella è stato non solo testimone, ma anche protagonista. Seppur successivamente molto coinvolto nella Scuola SUCAI, cui ha dedicato innumerevole tempo e tantissimo impegno (come abbiamo visto, è uno dei Savi Anziani), Renzo ha sempre conservato un particolare affetto per la Scuola Boccalatte. In una delle nostre chiacchierate “fra amici”, Renzo mi ha confidato che, quando è mancata sua moglie Ada (che è stata allieva dei corsi di roccia della Boccalatte), le ha appuntato sull’abito proprio il distintivo della Scuola Boccalatte.

Riassumere l’importanza scialpinistica di Renzo è praticamente impossibile: Savio anziano della SUCAI, Vice Presidente della Commissione Centrale per lo Scialpinismo del CAI (una delle madri dell’attuale CNSASA), autore di innumerevoli scritti ed articoli, spesso pubblicati sulla Rivista Mensile del CAI.

Mi preme però concentrarmi su uno specifico risvolto in cui Renzo è stato, non unico, ma di sicuro un importante protagonista. A metà degli anni Sessanta il mondo delle Scuole di scialpinismo del CAI è ancora frammentato, disomogeneo, a macchia di leopardo. Occorre metter ordine, uniformando i programmi didattici.

L’iniziativa parte dai torinesi della Scuola SUCAI. Nell’aprile 1966 organizzano alla Capanna Mautino (un luogo iconico per lo sci torinese) il Primo Raduno dei Direttori dei Corsi di scialpinismo del CAI. Dopo la cena conviviale, ad aprire il dibattito è proprio Renzo Stradella che, in giacca a cravatta (!), tiene un intervento in cui enuncia due concetti chiave: la necessità di render omogenei i programmi didattici di tutti i corsi di scialpinismo del CAI e l’opportunità di costituire la figura di Istruttore Nazionale di scialpinismo.

Intervento di Renzo Stradella durante il “Primo Raduno dei Direttori dei Corsi di scialpinismo del CAI”, Capanna Mautino, aprile 1966. Foto Arch. Flavio Melindo

Se oggi i programmi didattici sono omogenei non solo fra le scuole di scialpinismo, ma addirittura fra tutte le Scuole del CAI (per gli argomenti trasversali alle varie discipline tecniche) una buona “fetta” del merito la dobbiamo all’iniziativa dei sucaini torinesi, pubblicamente enunciata da Renzo nella famosa serata della Capanna Mautino.

Altrettanto si può affermare per il titolo di Istruttore Nazionale di scialpinismo: non a caso proprio Renzo Stradella è stato il Direttore del primo Corso INSA della storia, organizzato ad Alagna Valsesia nell’autunno 1968.

Tornando ai giorni nostri, sono rimasto piacevolmente colpito dal fatto che, in occasione dell’estremo saluto a Renzo Stradella, si sia cantato Cjolmi me, sotto la direzione di Paolo Riccadonna (altro sucaino di quei tempi). A differenza dei canti di montagna più adeguati in termini di saluto, ma proprio per questo caratterizzati da una certa tristezza di fondo (anche nella melodia), Cjolmi me è invece un canto gioioso, è il nostro canto di vetta, è la piena affermazione dell’appartenenza alla nostra grande famiglia.

Cjolmi me è come un’orazione nella quale si ribadiscono i valori in cui “crediamo”, per cui Cjolmi me contiene in sé la valenza di sistematica riaffermazione del senso di appartenenza alla SUCAI.

Proprio per questo motivo, è importante che la consuetudine del canto di vetta non si perda e, anzi, che si corrobori su ogni cima: i neo entrati impareranno rapidamente le facili strofe e, in futuro, saranno loro a insegnarle ai prossimi sucaini.

Sucaini in vetta alla Punta Mulatera, inverno 1969-70. Da sinistra: Franco Tedeschi, Giuliana Crovella Tedeschi, Picco Brunati e l’ inossidabile Ingegner Verna, che compirà ottant’anni proprio durante un’uscita della Scuola SUCAI (alla Bisalta, marzo 1986). Foto Arch. Carlo Crovella

Ho sempre sostenuto che, al momento del saluto verso gli amici che si stanno allontanando da noi, la tristezza deve esser più che colmata dalla volontà di portare avanti ciò che essi hanno concretizzato in precedenza.

Certo, nella vita della SUCAI occorre inserire progressivamente le novità legate ai cambiamenti dettati dei tempi, dalle nuove tecniche e dalle nuove mentalità, ma il percorso deve avanzare lungo i binari che sono stati impiantati e poi implementati da chi ci ha preceduto.

Proseguire nel loro operato è il più bel ringraziamento che possiamo esprimere per quello che essi hanno fatto prima di noi.

Cjolmi me: storia del canto di vetta della Scuola SUCAI

A seguito di una mia specifica domanda, sul Gazzettino dei Cunioli del marzo 2011, Renzo Stradella ha raccontato di suo pugno come Cjolmi me (un canto friulano, inusuale per la tradizione piemontese) sia diventato il canto di vetta della Scuola di scialpinismo SUCAI Torino. Rileggiamo le parole di Renzo: è come se fosse ancora qui con noi a chiacchierare fra amici.

Scrive Renzo Stradella:

Per far contento Charly, cominciamo con:

Cjolmi me, cjolmi ninine (tre volte) …………………………………. prendi me, prendimi cara

bambinu te del Signor …………………………………. bambina del Signor

Jò passion n’ò mai avuta (tre volte) …………………………………. io non ho mai avuto passioni

e cun vù meno che mai …………………………………. e adesso meno che mai

Agli inizi degli anni Cinquanta capitò in casa Auxilia un libretto di villotte friulane, con parole e musica: detto fatto, la mamma Maria Teresa Pettinati Auxilia, donna indimenticabile per la grande affabilità verso gli amici dei figli, specie con Ada e me (Renzo Stradella, NdR), si mise al pianoforte e le interpretò insieme ai figli Anna Maria, Gigi, Beppe, Manin e Maria Luisa, tutti intonatissimi e dotati di voci splendide, specie quelle femminili, veramente soavi.

Una di queste villotte era appunto Cjolmi me, che fu portata in SUCAI da Beppe Auxilia e divenne presto popolare, al punto da diventare il canto di vetta: era un motivo semplice, orecchiabile, facile per una seconda voce e anche per un basso (famoso per questo compito è stato Guglielmo Cavalchini) e infine breve, dote che bene si addice ai cantori che giungono in cima un po’ affaticati, ossia senza fiato (e magari in mezzo alla bufera, NdR).


Grazie alla tecnologia, Renzo ci ha ancora “parlato” tramite il suo scritto: le sue parole sono chiare come se le avesse pronunciate di persona davanti a tutti noi.

Lo stesso vale per Flavio Melindo, che possiamo ascoltare proprio mentre esegue Cjolmi me, il canto di vetta della Scuola di scialpinismo SUCAI Torino.

Cjolmi me cantato da Flavio Melindo. Dal CD dei canti SUCAI. Arch. Flavio Melindo


Flavio Melindo ha registrato i principali canti che compongono il tradizionale repertorio della SUCAI. Nel 2012 li ha racchiusi in un CD (per i 60 anni della Scuola: 1951-2011), oggi pressoché introvabile

Copertina del CD contenente i canti SUCAI registrati dal Flavio Melindo. Foto Arch. Flavio Melindo